L'Islam non è terrorista ma l’Isis è islamista

 

16 NOV, 2015 LA STAMPA

 

La notte di guerriglia urbana scatenata da Isis a Parigi segnala un mutamento di strategia dell’organizzazione terroristica del Califfato e induce mutamenti irreversibili nella politica europea e nella guerra in Iraq e Siria. Chiama l’opinione pubblica e la classe dirigente a una migliore comprensione degli avversari che fronteggiamo e che, fin qui, assai male abbiamo compreso. In mancanza di analisi razionali, scevre da propaganda, populismo rabbioso e ingenui sentimentalismi, resteremo in balia della violenza. 

 

Attacchi in serie

 

L’attacco di venerdì è stato il gesto militare più sanguinoso in Francia dalla fine della guerra 1945, con Papa Francesco a parlare, saggiamente, di «III guerra mondiale». Isis, che dai pozzi petroliferi ricava secondo il «Financial Times» un milione e mezzo di dollari al giorno, esporta ora i blitz. Prima di Parigi, 129 morti, ha colpito il 10 di ottobre Ankara, in Turchia, oltre 100 vittime, il 31 ottobre ha abbattuto il jet civile russo sul Sinai, 224 morti, peggiore strage aerea nella storia di Mosca, il 12 novembre ha seminato morte a Beirut, in Libano, oltre 40 caduti, un massacro come non si ricordava dagli anni della guerra civile. L’incapacità di vedere il dispiegarsi degli attacchi nella loro continuità, volta a volta ipnotizzati dall’ultimo evento in tv e sui social media, ci disarma. La rete televisiva Al Jazeera dava ieri risalto alle lamentele del mondo arabo, che accusa Facebook di non avere permesso ai libanesi di usare la ricerca automatica di vittime e superstiti a Beirut, come ha fatto, lodevolmente, a Parigi. Facebook nega il doppio standard, e i blogger libanesi ricordano come nel loro Paese, con comunicazioni precarie, a poco sarebbe servito lo strumento. Non importa, la polemica divide «Noi» da «Loro» e semina amarezze.

 

«Nemico incomprensibile» 

 

In realtà Isis, nei territori occupati e nei raid terroristici, non discrimina tra cristiani e musulmani, colpendo chi non si unisce alla campagna per il Califfato, e il generale Michael Nagata, comandante americano in Medio Oriente, ammette umile quello che troppe concioni demagogiche tacciono: «Non abbiamo sconfitto le idee di Isis, in realtà non riusciamo nemmeno a comprenderle». Battere un nemico che non si comprende è, ricordano gli studiosi di strategia da Sun Tzu a Clausewitz, Delbruck e Keegan, impossibile. Il presidente Obama paragonava dapprima Isis a «una squadra di dilettanti», oggi ne nega il carattere islamico, dichiarando che la religione non c’entra nella campagna del Califfato.

Le divisioni in America

 

Nella notte di sabato, al dibattito per le primarie verso la Casa Bianca del partito democratico, la stessa afasia ha colpito prima il senatore socialista Sanders, che ha minimizzato la minaccia del terrore preferendo parlare di economia, mentre anche la favorita Hillary Clinton ha confermato che, a suo avviso, la religione non c’entra con la guerra in corso. È, da parte dei politici, una comprensibile prudenza per evitare di seminare odio verso i cittadini di religione musulmana, ma impedisce di analizzare le motivazioni e la cultura che permettono a Isis di reclutare, online, migliaia di seguaci, donne incluse, ammoniscono gli studiosi Erin Marie Saltman e Melanie Smith.

 

Come Br e terrorismo

 

Isis è un movimento politico, culturale, militare che usa terrorismo e guerra, radicandosi nell’interpretazione radicale dell’islam. Nemico della modernità, Isis proclama un islamismo che risale ai tempi precoloniali, affascina i giovani con il credo antidemocratico, fautore di un mondo dove gli individui, maschi o femmine, credenti e no, hanno il destino segnato alla nascita. Non comprendere, o offuscare per cautela, questo dato non ci permette di fare passi avanti contro i terroristi: Isis è un esercito politico islamista, la religione non solo c’entra ma è cruciale nell’analisi. Lo stesso errore di timidezza ideologica fu commesso agli esordi delle Brigate Rosse, quando tanti osservatori negarono la radice comunista di Curcio e adepti, finché sul Manifesto, con spietata lucidità, Rossana Rossanda non scrisse di «album di famiglia», legando per sempre Br e sinistra. Un «album di famiglia» altrettanto diretto lega Isis alla storia dell’islam. Milioni di comunisti italiani combatterono le Br, come miliardi di musulmani si oppongono al terrorismo in nome della loro religione, ma la contraddizione politica esiste e va compresa per recidere le radici estremistiche.

Rigore e compassione

 

Non farlo lascerà campo a populisti, xenofobi e razzisti che già, in America, Europa ed Italia, operano con efficacia. La notte di sangue a Parigi offre argomenti di propaganda al Fronte Nazionale della Le Pen e ai movimenti gemelli, e già porta la Polonia a chiudere le frontiere, mentre in Germania Horst Seehofer, presidente della Csu, chiama a confini più controllati, intorno all’Unione Europea e tra gli Stati membri. Dopo la strage a «Charlie Hebdo» Seehofer aveva preso la linea opposta, restando pro «confini aperti», oggi cambia idea e con lui milioni di europei. Un solo infiltrato tra tanti infelici profughi siriani, purtroppo, cambia il clima politico e serve ora intrecciare rigore a compassione.

 

Patti con il diavolo 

 

Cambia idea anche, negli undici mesi che gli restano a Washington, il presidente Obama, non si ritirerà più dall’Afghanistan come voleva, e probabilmente si pente della fretta, un popiccata, con cui si è ritirato dall’Iraq, comprendendo infine come sia inevitabile battersi in Medio Oriente. Le carte di europei e americani non sono molte, collaborare con i turchi, che però temono i curdi quanto Isis, trovare un’intesa con Putin, che ha una sua testa di ponte in Siria, decidere che fare del regime di Assad, forte di un tacito patto con Isis che potrebbe rompere, pur di restare al potere a Damasco. Soluzioni brillanti funzionano in tv, nella realtà si tratta purtroppo di fare patti con un diavolo alla volta, pur di battere il diavolo Isis. Liberare del tutto le città di Mosul e Ramadi dalla presa del Califfo, a fianco dei peshmerga curdi, sarebbe una risposta militare capace di controbattere alla strage di Parigi. Se e quando ci si riuscisse, servirebbe poi una strategia di lunga durata, civile e militare, capace di vittoria. Siamo solo ai primi, confusi, passi contro un nemico che non conosciamo e che, invece, benissimo ci conosce.